Nata nel 2015 come chat da usare mentre si gioca, Discord è l’app che sta spopolando in questi mesi di scuola online. E’ il luogo virtuale dove ci si trova per accordarsi su nuove partite di tutti i più utilizzati videogame, da Fortnite a Minecraft fino ad Among Us, e – forse non sarà particolarmente piacevole scoprirlo – è lì che molti ragazzi passano buona parte del loro tempo durante le lezioni di didattica a distanza.
Su Discord chiunque può aprire un proprio server, sorta di stanza virtuale in cui far entrare soltanto chi si vuole, protetti da una privacy pressoché totale. Ogni utente può crearsi uno spazio autogestito dove condividere un gioco – nella maggior parte dei casi – ma anche un interesse, una passione, lo studio di una materia scolastica (ci sono server che fungono da sale studio virtuali con ragazzi che si ritrovano per fare i compiti assieme). Entrarci dà un’impressione simile a quella che si provava nei forum che nascevano agli albori di Internet, dove si trovavano utenti con interessi simili che discutevano di un certo argomento. Normalmente il dibattito era a un livello alto, tra esperti e appassionati di un settore, pochi, ma selezionati. Un salto indietro dunque per recuperare il senso più autentico della comunicazione online fra gruppi ristretti di persone, fuori dalla calca dei social media.
L’idea è ottima. Purtroppo però la realtà è un po’ diversa. Accanto a usi molto positivi, Discord ha un lato preoccupante che non possiamo ignorare. Come ogni luogo in Rete dove s’incontrano anche sconosciuti, è concreto il rischio che un ragazzino si ritrovi a chattare con un adulto animato da pessime intenzioni. Oltre a spazi in cui si entra solo su invito sono molti i server pubblici dedicati a uno specifico gioco, e qui è molto più facile l’accesso. I responsabili del servizio assicurano che ci sono strumenti per verificare l’età di chi si collega, ma come fa notare questo documentato servizio del New York Times non è molto difficile aggirare tali regole. Esistono controlli sulla tipologia di immagini che vengono scambiate. Ma la realtà è che pattugliare di continuo l’altissimo traffico su questi servizi è molto difficile. E purtroppo non sembra neppure esserci l’intenzione di trovare una soluzione efficace, da parte di chi gestisce i servizi.
Quindi che fare? Un consiglio è quello di sapere dove vanno i propri figli: meglio se si tratta la stanza virtuale di un amico. E in caso contrario, è fondamentale informarsi e monitorare quanto accade.
Interessantissimo. Molto informato e ben documentato. Grazie!
Grazie!
Ma il Parental control in questo caso non può servire a nulla
Con un servizio di parental control, come ad esempio Qstodio, possiamo essere informati del fatto che nostro figlio vuole scaricare o meno questa app. Però una voltà che l’ha installata non abbiamo un controllo puntuale sull’uso che ne fa. A quel punto, come suggerisce la stessa Qstodio, quello che possiamo fare è attivare le impostazioni di privacy in modo che non si possa chattare con chi non è incluso fra gli amici. Il consiglio poi è non attivare l’app per i minori di tredici anni e in ogni caso, come dicevamo, sapere a che server ci si collega. In altri termini chi è il padrone della casa in cui si entra…