La proposta di legge presentata il 15 marzo scorso da alcuni parlamentari del Movimento 5 stelle (tra i quali l’ex ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti) e del gruppo misto, per regolamentare l’uso dei dispositivi elettronici da parte dei minori di 12 anni è un perfetto manuale per l’uso consapevole degli strumenti tecnologici in famiglia. Secondo quanto si legge nella proposta, organizzata in 8 articoli, l’utilizzo dei dispositivi a radiofrequenza (quindi non soltanto smartphone, ma anche tablet e qualsiasi altro device collegato a Internet) sarebbe vietato a) nei primi tre anni di vita b) graduale per non più di un’ora al giorno nella fascia di età da quattro a sei anni, c) non superiore a tre ore giornaliere nella fascia di età da sei a otto anni, d) non superiore a quattro ore giornaliere nella fascia di età da nove a 12 anni.
Indubbiamente un piano esigente, peraltro in linea con quanto indicato nel 2018 dalla Società Italiana di Pediatria, in un documento in cui dava conto delle prime ricerche sugli effetti negativi dell’uso precoce dei dispositivi elettronici in relazione fra l’altro all’apprendimento, alla vista e al sonno.
Il problema è che si tratta appunto di un manuale per genitori, cui spetta l’educazione a un uso sano della tecnologia. Difficile immaginare come possa tradursi in una legge, con tanto di sanzioni, che vanno dai 300 ai 1500 euro per i genitori che non rispettassero le indicazioni d’uso
Un merito del progetto di legge è certamente quello di porre l’attenzione sul problema dell’uso precoce – e inconsapevole – di uno strumento potente come lo smartphone (che proprio Fioramonti aveva definito “un’arma in tasca”). La soluzione giuridica però non può essere quella giusta. Si tratta di una scorciatoia che avrebbe l’effetto di sollevare i genitori dalla propria responsabilità di educatori, anche quando si tratta di tecnologia. Senza citare poi l’impossibilità, nel concreto, di verificare il rispetto di tali regole (come fare a controllare quanto avviene nelle singole case, se non ledendo pesantemente il diritto alla privacy?).
Diverso il discorso riguardante la scuola: all’articolo 4 si specifica che l’uso di smartphone e tablet, alle scuole primarie e secondarie di primo grado, sarebbe consentito solo “per finalità didattiche e pedagogiche o per esigenze indifferibili degli alunni” e vietato in tutti gli altri casi. Su questo si dovrebbe cercare di trovare un accordo, seguendo la strada che hanno già intrapreso altri Paesi europei, la Francia in primis, che al momento non pare aver fatto marcia indietro. Segno forse che la direzione è quella giusta.
Una proposta così “estrema” potrebbe avere l’effetto di suscitare un dibattito serio e realistico su un argomento che troppo spesso viene liquidato in modo sbrigativo tacciando di proibizionismo chi propone un uso graduale e moderato degli strumenti tecnologici.