È in onda in queste settimane su Sky la seconda stagione della serie-cult
Euphoria, estremamente popolare tra gli adolescenti, ma ricca di elementi problematici, soprattutto se vista da un pubblico di età troppo bassa. Si tratta della storia di Rue Bennett, diciassettenne californiana tossicodipendente, reduce – all’inizio della prima stagione – di un periodo di disintossicazione che non ha tuttavia dato l’esito sperato. Intorno alla ragazza (interpretata da Zendaya), ruota un mondo di adolescenti con vite difficili, relazioni conflittuali e malate, affiancati da adulti fragili e inadeguati, nella maggior parte dei casi privi di ogni autorevolezza.Il racconto, formalmente impeccabile, non lascia nulla all’immaginazione mostrando le più varie forme di comportamento deviante, dalla sessualità vissuta in modo compulsivo, anche fra adulti e minori, al consumo di stupefacenti, dall’abuso di alcool alla violenza, con ragazzi che spacciano droga, si ricattano a vicenda, con uno stile che non sfigurerebbe in un film di Quentin Tarantino. Prodotto televisivo di buon livello,
Euphoria attira per la sua qualità estetica, per la cura del dettaglio nella costruzione dei personaggi e nei dialoghi, oltre che nella scelta della colonna sonora, elemento di primo piano della narrazione. Ma le vicende cui ci chiede di partecipare emotivamente e la straordinaria crudezza con cui vengono esposte la rendono decisamente inadatta al pubblico degli adolescenti: non a caso la serie è vietata ai minori di 18 anni praticamente in tutti i Paesi in cui è distribuita, mentre in Italia il divieto è inspiegabilmente soltanto per i minori di 14.
La storia di Rue, che precipita sempre più in basso nell’abisso della dipendenza da sostanze, è il racconto di un disagio profondo, che sembra non trovare risposta, ed è il ritratto di un mondo cupo e cinico, dove non pare esserci spazio per un sia pur vago barlume di speranza. È proprio questo il messaggio più insidioso di Euphoria, che la rende un prodotto sconsigliato per gli adolescenti. Il rischio non è tanto quello di emulare un comportamento autodistruttivo (che riguarda una percentuale relativamente ridotta di persone già fragili dal punto di vista psicologico) quanto piuttosto l’idea, che può avere facile presa più è bassa l’età, che il mondo sia un pessimo luogo in cui vivere e ben poche siano le possibilità di cavarsela egregiamente e di trovare la felicità. Un messaggio di cui davvero oggi non si vede la necessità.
Originariamente pubblicato su puntofamiglia.net