
«Posso chiederti una cosa? Io ti piaccio?». È la domanda che sgorga accorata dopo uno scambio verbale d’inaudita violenza tra il tredicenne Jamie Miller, accusato di aver ucciso a coltellate una sua coetanea, e la psicologa che lo sta incalzando, nella serie tv Netflix Adolescence, appena uscita e già la più vista sulla piattaforma. Quattro episodi girati tutti in tempo reale (un’ora circa di durata corrisponde esattamente a un’ora di vicenda narrata) e con inquadrature continue che seguono i personaggi in ogni loro movimento con l’effetto di immergere completamente lo spettatore nella storia, evitando di dare alcun giudizio su quanto accade.
Sono diversi e tutti cruciali i temi che la serie affronta, dal bullismo, alle dinamiche tossiche all’interno dei social media, all’incomunicabilità tra genitori e figli. Un oceano di dolore che lambisce le vite di tutti i personaggi, senza che sia possibile identificare con certezza un colpevole per il disastro cui si assiste. Certo, un assassino c’è, e una giovanissima vita interrotta per cui qualcuno dovrà pagare, ma non è tutto lì. Adolescence invita ad allargare lo sguardo su un mondo adulto che non sembra avere più gli strumenti per capire quanto sta accadendo nelle menti e nei cuori dei propri figli, troppo spesso soli, totalmente immersi nel mondo dei social, dove la derisione e la vergogna possono nascondersi anche dietro le parole e le emoji apparentemente più innocue.
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