Le serie televisive non sono una novità nel panorama televisivo ma, come la tv e il cinema, anche loro si sono evolute nel tempo e oggi, confrontando le proposte attuali con le produzioni del passato (da “La Signora in giallo” a “A Team” che ancora si possono godere su qualche piattaforma), è evidente che il mondo delle fiction è molto cambiato e certamente è in grado di influenzare gli spettatori e raccogliere l’interesse anche di grandi finanziatori.
- La prima domanda che mi piace porre a lei che è direttore responsabile di “orientaserie.it”, sito che recensisce e valuta centinaia delle attuali serie (italiane ma, soprattutto, straniere) è: come classificherebbe le serie tv attuali? Al di là dell’età cui sono rivolte, riuscirebbe a raggrupparle per tipologia? Quale, secondo lei, ha maggiore impatto sui ragazzi?
Le serie tv attuali sono sempre più specializzate riguardo al pubblico cui si rivolgono. Le piattaforme in streaming e le tv a pagamento in generale rendono possibile rivolgersi a pubblici di nicchia e realizzare prodotti specifici. Un esempio sono i teen drama, ovvero le serie tv focalizzate sull’adolescenza e rivolte agli adolescenti: si tratta di un genere in espansione con diversi prodotti di successo, che in realtà per le tematiche trattate richiederebbero un pubblico adulto (penso a prodotti come Tredici, Euphoria e in Italia Baby o Skam). Un altro genere di grande impatto sui ragazzi è quello degli anime, i disegni animati tratti dai fumetti (manga) giapponesi, che riscuotono un crescente successo. Tra i prodotti più visti ultimamente possiamo citare L’attacco dei giganti e Demon Slayer, due anime molto interessanti per le tematiche trattate: la strenua lotta tra bene e male, proposta con un’animazione mozzafiato, punteggiata da scene molto violente che ne fanno sconsigliare la visione sotto i 16 anni.
Restano poi valide le tradizionali distinzioni tra serie crime, d’avventura, a tema supereroi, medical drama e period drama (serie a tema medico e serie ambientate in altre epoche storiche), epopee familiari (come This is us, Succession o la più recente e molto interessante Pachinko) e miniserie sui temi più disparati in un mercato che per il momento è ancora in espansione, come dimostra il recente sbarco nel nostro Paese del servizio Paramount+
- Cosa vi ha spinto a costruire un sito, tra l’altro molto ricco di contenuti e spunti, esclusivamente dedicato alla recensione di serie televisive e non alle uscite cinematografiche, ad esempio, o programmi tv?
Le serie sono uno dei contenuti più popolari tra gli adolescenti, e spesso invece genitori, insegnanti, educatori ne ignorano storie e personaggi. Sono storie con le quali i ragazzi restano in contatto varie ore al giorno e che contribuiscono a formarne il giudizio morale e a orientarne lo sguardo sulla realtà. Ogni storia educa ed è importante capire come lo fa: quale idea di mondo, di relazione, di persona presuppongono le serie tv più popolari soprattutto tra gli adolescenti? Abbiamo così pensato, come Aiart, associazione cittadini mediale, la cui sezione milanese presiedo, e in collaborazione con il professor Armando Fumagalli, docente di Semiotica e direttore del Master in International Screenwriting and Production dell’ Università Cattolica di Milano, di creare Orientaserie (www.orientaserie.it) un sito che fornisce a genitori ed educatori le informazioni essenziali per comprendere i temi più rilevanti trattati dalle serie e poter avviare un dialogo con i ragazzi. Le recensioni sono scritte da studiosi di media e sceneggiatori: l’obiettivo è fornire una valutazione non soltanto estetica ma che sia in grado di evidenziare gli aspetti educativi presenti in ogni prodotto seriale.
- Il successo di un film deriva certamente anche (o soprattutto) dal cast. Spesso nelle serie gli attori sono invece, almeno all’inizio, quasi sconosciuti e forse la qualità della recitazione non è allo stesso livello delle grandi produzioni cinematografiche. Cosa porta il pubblico a seguire le serie tv? Cosa distingue una serie riuscita da una no?
A lungo la qualità dei prodotti cinematografici non è stata paragonabile a quella delle serie tv. Da qualche anno però le cose stanno cambiando: la qualità media delle produzioni seriali è cresciuta e non è raro che grandi attori sempre più spesso recitino in tali prodotti. Anche i registi cinematografici cominciano a cimentarsi con la serialità.
L’artefice del successo di una serie non è però, in genere, il regista, che può cambiare nelle diverse puntate e stagioni, un ruolo preponderante è quello degli sceneggiatori. A idearne e seguirne ogni aspetto è lo showrunner, vera “anima” di una specifica serie, che ne armonizza tutti gli elementi. Un esempio è Shonda Rhimes, showrunner della serie-cult Grey’s Anatomy e, tra le altre, della recente Bridgerton.
Un motivo del successo di pubblico delle serie è certamente legato alla possibilità di seguire nel tempo le storie dei personaggi, di partecipare alla loro evoluzione episodio dopo episodio e stagione dopo stagione. Se si tratta di un prodotto scritto bene lo spettatore ha la possibilità di immedesimarsi nei personaggi e di affezionarsi alle loro vicende, molto di più di quanto gli sarebbe consentito da un film, che ha una durata decisamente inferiore.
- L’influenza che una serie televisiva esercita sugli spettatori sembra essere maggiore di quello dei film. Guardando le serie tv americane, molte generazioni hanno fatto loro usanze e mentalità che non appartengono alla nostra storia; un esempio tra tutti è la festa di Halloween, che ha soppiantato nella nostra cultura la festa di Ognissanti. Il mondo della produzione è certamente cosciente di questa potenza: come la sfrutta? Lei vede il tentativo/pericolo di guidare la sensibilità popolare attraverso serie create ad hoc?
Le storie che le serie tv ci raccontano non sono soltanto intrattenimento. Come si diceva, attraverso quei racconti passa una precisa visione del mondo. In qualche caso questo potrà portare a una positiva apertura verso Paesi e culture che non conosciamo: pensiamo ad esempio ai prodotti seriali provenienti dai Paesi del Medio Oriente, come la delicata saga di Shtisel, ambientata in una comunità di ebrei ortodossi a Gerusalemme, o i cosiddetti k-drama, che offrono uno sguardo su un Paese molto lontano da noi per lingua e tradizione come la Corea del Sud. E questo è un effetto senz’altro positivo della crescente produzione e offerta di serie tv. Occorre però anche evidenziare come in molti altri casi i contenuti di tali prodotti presentino come diffusi e normali comportamenti che invece non lo sono affatto, con l’effetto di attutirne il possibile giudizio negativo da parte di chi guarda.
- Nel sito che lei cura, tra le serie italiane consigliate, ne compaiono molte della Lux Vide, una casa produttrice che si distingue dalle altre per la scelta di soggetti, religiosi e non, che rispecchiano molto la cultura popolare italiana. Qual è il segreto del successo delle serie Lux Vide (Don Matteo, Non dirlo al mio capo, Che Dio ci aiuti, Blanca…)?
Le serie dai contenuti più scabrosi e trasgressivi, come alcune di quelle che abbiamo menzionato (Tredici o Euphoria o l’italiana Baby) fanno molto discutere e creano interesse intorno ad esse, dando l’impressione che siano il prodotto preferito dal pubblico. Ma se poi si guardano i dati di visione si constata che non sempre è così. Il pubblico continua a preferire, nella maggior parte dei casi, serie dai contenuti più rassicuranti e che rispecchiano una realtà meno cupa e negativa, ma dove c’è anche uno spazio per la speranza. Questo spiega in gran parte il buon riscontro delle serie da lei citate, cui aggiungerei anche Doc- Nelle tue mani, un successo internazionale.
Miriam Dal Bosco
L’intervista è stata pubblicata sul sito del Centro Studi per l’Educazione di Verona