Minori, un futuro senza social?

1 Gen 2025 - Tag: , ,

Minori, un futuro senza social?
Foto The Sidney Morning Herald

La notizia della nuova legge che in Australia, a partire dalla fine del 2025, vieterà l’uso dei social media ai minori di 16 anni, con l’obbligo di verifica dell’età da parte delle piattaforme,  ha suscitato un dibattito piuttosto vivace sull’opportunità o meno di un tale provvedimento e anche sui motivi che hanno portato ad adottarlo. In realtà la decisione australiana non è certo un fulmine a ciel sereno, è piuttosto l’esito di un periodo ormai piuttosto lungo di ripensamento e presa di coscienza riguardo ai problemi che l’uso precoce dei social media può comportare.

E’ evidente che la legge da sola non basta, ma è un inizio, è un passo nella direzione giusta, che obbliga tutte le parti coinvolte a prendersi le proprie responsabilità. A cominciare dalle piattaforme, che finora hanno puntato sull’autoregolamentazione, opponendosi a qualsiasi intervento legislativo. Anche i genitori, di fronte a un divieto così netto, saranno spinti con tutta probabilità a riconsiderare le proprie decisioni riguardo all’uso del digitale da parte dei propri figli.

Del resto sono ormai numerose le ricerche che confermano l’impatto negativo dell’utilizzo degli schermi in età precoce sull’attenzione, il sonno, lo sviluppo del linguaggio e anche la vista. Se già nel 2018 la Società Italiana di Pediatria sconsigliava del tutto l’uso degli schermi sotto i due anni di età, i risultati di un recente studio condotto in Spagna suggeriscono di alzare l’età ai tre anni. Le conclusioni di quasi un anno di lavoro di una commissione nominata dal primo ministro Pedro Sanchez si spingono anche oltre, sconsigliando l’uso degli schermi fino ai sei anni e suggerendo di far utilizzare telefoni non “smart”, privi cioè della connessione Internet, tra i 12 e i 16 anni. Gli esperti propongono poi l’obbligo che i dispositivi digitali includano un’etichetta simile a quella che si trova sui pacchetti di sigarette, in modo da segnalarne i potenziali rischi.

In Francia uno studio condotto su impulso del presidente Macron era giunto a conclusioni analoghe, arrivando a richiedere tra l’altro che l’accesso ai social media fosse riservato ai maggiori di 16 anni.

Il best-seller dello psicologo sociale Jonathan Haidt “La generazione ansiosa”, uscito di recente anche in Italia, mette in fila ricerche e argomentazioni a sostegno della necessità di una regolamentazione. Il problema, sostiene l’autore, è che abbiamo protetto eccessivamente i bambini nel mondo fisico e li abbiamo lasciati soli in quello virtuale nell’erronea convinzione che fosse più sicuro. In questo modo abbiamo privato i piccoli di quella necessaria attività di esplorazione dell’ambiente circostante che implica anche qualche minimo rischio e rinsalda la loro autostima, e abbiamo aumentato il loro tempo di permanenza online, spesso con poche regole o addirittura nessuna. Haidt, dati alla mano sull’aumento di casi di ansia e depressione tra i teenagers,  propone a sua volta di alzare l’età di accesso ai social ai 16 anni e ritardare il possesso di uno smartphone fino alle scuole superiori.

Il presupposto è che al di sotto di una certa età manchi quella necessaria maturità cognitiva ed emotiva per reggere il confronto con un ambiente altamente competitivo come quello dei social e con contenuti inadatti, dai canali YouTube alle serie tv. E’ fondamentale che i genitori siano informati sulle caratteristiche di tali prodotti e sulle età consigliate, in modo da favorire la visione di prodotti adeguati. E’ l’obiettivo del progetto Orientaserie, promosso da Aiart in collaborazione con l’Università Cattolica di Milano (www.orientaserie.it) che offre recensioni di serie tv analizzate anche nei loro aspetti educativi.

E per promuovere quel cambiamento culturale necessario perché qualsiasi legge restrittiva possa poi essere davvero efficace è fondamentale il coinvolgimento dei genitori, dal basso, come si propone di fare l’’iniziativa Patti Digitali (www.pattidigitali.it), dell’Università Bicocca di Milano in collaborazione con le associazioni Aiart Milano, Mec e Sloworking, e che ha l’obiettivo di promuovere la nascita di alleanze tra genitori per adottare insieme regole sull’educazione digitale dei propri figli.

Originariamente pubblicato su Il Telespettatore

 

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Minori, un futuro senza social?
Foto The Sidney Morning Herald

La notizia della nuova legge che in Australia, a partire dalla fine del 2025, vieterà l’uso dei social media ai minori di 16 anni, con l’obbligo di verifica dell’età da parte delle piattaforme,  ha suscitato un dibattito piuttosto vivace sull’opportunità o meno di un tale provvedimento e anche sui motivi che hanno portato ad adottarlo. In realtà la decisione australiana non è certo un fulmine a ciel sereno, è piuttosto l’esito di un periodo ormai piuttosto lungo di ripensamento e presa di coscienza riguardo ai problemi che l’uso precoce dei social media può comportare.

E’ evidente che la legge da sola non basta, ma è un inizio, è un passo nella direzione giusta, che obbliga tutte le parti coinvolte a prendersi le proprie responsabilità. A cominciare dalle piattaforme, che finora hanno puntato sull’autoregolamentazione, opponendosi a qualsiasi intervento legislativo. Anche i genitori, di fronte a un divieto così netto, saranno spinti con tutta probabilità a riconsiderare le proprie decisioni riguardo all’uso del digitale da parte dei propri figli.

Del resto sono ormai numerose le ricerche che confermano l’impatto negativo dell’utilizzo degli schermi in età precoce sull’attenzione, il sonno, lo sviluppo del linguaggio e anche la vista. Se già nel 2018 la Società Italiana di Pediatria sconsigliava del tutto l’uso degli schermi sotto i due anni di età, i risultati di un recente studio condotto in Spagna suggeriscono di alzare l’età ai tre anni. Le conclusioni di quasi un anno di lavoro di una commissione nominata dal primo ministro Pedro Sanchez si spingono anche oltre, sconsigliando l’uso degli schermi fino ai sei anni e suggerendo di far utilizzare telefoni non “smart”, privi cioè della connessione Internet, tra i 12 e i 16 anni. Gli esperti propongono poi l’obbligo che i dispositivi digitali includano un’etichetta simile a quella che si trova sui pacchetti di sigarette, in modo da segnalarne i potenziali rischi.

In Francia uno studio condotto su impulso del presidente Macron era giunto a conclusioni analoghe, arrivando a richiedere tra l’altro che l’accesso ai social media fosse riservato ai maggiori di 16 anni.

Il best-seller dello psicologo sociale Jonathan Haidt “La generazione ansiosa”, uscito di recente anche in Italia, mette in fila ricerche e argomentazioni a sostegno della necessità di una regolamentazione. Il problema, sostiene l’autore, è che abbiamo protetto eccessivamente i bambini nel mondo fisico e li abbiamo lasciati soli in quello virtuale nell’erronea convinzione che fosse più sicuro. In questo modo abbiamo privato i piccoli di quella necessaria attività di esplorazione dell’ambiente circostante che implica anche qualche minimo rischio e rinsalda la loro autostima, e abbiamo aumentato il loro tempo di permanenza online, spesso con poche regole o addirittura nessuna. Haidt, dati alla mano sull’aumento di casi di ansia e depressione tra i teenagers,  propone a sua volta di alzare l’età di accesso ai social ai 16 anni e ritardare il possesso di uno smartphone fino alle scuole superiori.

Il presupposto è che al di sotto di una certa età manchi quella necessaria maturità cognitiva ed emotiva per reggere il confronto con un ambiente altamente competitivo come quello dei social e con contenuti inadatti, dai canali YouTube alle serie tv. E’ fondamentale che i genitori siano informati sulle caratteristiche di tali prodotti e sulle età consigliate, in modo da favorire la visione di prodotti adeguati. E’ l’obiettivo del progetto Orientaserie, promosso da Aiart in collaborazione con l’Università Cattolica di Milano (www.orientaserie.it) che offre recensioni di serie tv analizzate anche nei loro aspetti educativi.

E per promuovere quel cambiamento culturale necessario perché qualsiasi legge restrittiva possa poi essere davvero efficace è fondamentale il coinvolgimento dei genitori, dal basso, come si propone di fare l’’iniziativa Patti Digitali (www.pattidigitali.it), dell’Università Bicocca di Milano in collaborazione con le associazioni Aiart Milano, Mec e Sloworking, e che ha l’obiettivo di promuovere la nascita di alleanze tra genitori per adottare insieme regole sull’educazione digitale dei propri figli.

Originariamente pubblicato su Il Telespettatore

 

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