Forse non si tradurrà in una legge nei suoi esatti termini la petizione lanciata nei giorni scorsi dallo psicologo Alberto Pellai e dal pedagogista Daniele Novara, per vietare lo smartphone ai minori di 14 anni e i social media a chi ne ha meno di 16, firmata già da diversi esponenti dello spettacolo e della cultura, ma il valore dell’iniziativa va al di là della sua effettiva realizzazione pratica. Come efficacemente argomentato nei giorni scorsi su questo stesso giornale, una presa di posizione così radicale ha il merito di suscitare un dibattito e far comprendere quale sia la posta in gioco nel recuperare una sana gradualità riguardo all’accesso al mondo digitale. Le conferme della dannosità dell’utilizzo di smartphone e social media nei delicati anni dell’infanzia e della prima adolescenza arrivano ormai da più fronti. L’uso precoce degli schermi ha effetti negativi sull’apprendimento del linguaggio, sulla gestione dell’attenzione, e in generale va a occupare spazi della vita del bambino che dovrebbero invece essere dedicati alla manipolazione e al movimento per favorire un corretto sviluppo cerebrale. Nell’adolescenza le problematiche si osservano invece di più sul piano emotivo, con un impatto sulla salute mentale tutt’altro che innocuo, come ribadito lo scorso anno dalla massima autorità di salute pubblica statunitense, il Surgeon General, in un rapporto dedicato al tema e come lo psicologo Jonathan Haidt, autore di “La generazione ansiosa”, appena uscito in Italia, documenta dati alla mano.
Si tratta di una situazione che rimette al centro prepotentemente il ruolo educativo dei genitori, un ruolo cui troppo spesso si abdica in nome del “così fan tutti”, cedendo sull’anticipazione del regalo dello smartphone ben prima della soglia dei 14 anni, nel timore (purtroppo assai fondato) che i propri figli, privi dell’accesso ai social e a whatsapp restino esclusi dalla vita sociale dei loro coetanei. È innegabile che su questo fronte un eventuale divieto imposto dall’alto potrebbe essere di grande aiuto.
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