Smartphone ai bambini? «È una condanna alla depressione»

30 Giu 2024 - Tag: , ,

Smartphone ai bambini? «È una condanna alla depressione»

Immaginate che un giorno qualcuno vi proponesse di lasciar partire vostro figlio di 10 anni per Marte, dove potrebbe essere tra i primi ad acclimatarsi alla vita sul pianeta, e quindi avere più possibilità di sopravvivere in caso di un trasferimento di tutta l’umanità sul pianeta rosso. Certo, non mancherebbero le incognite e i possibili effetti collaterali, anche gravi, delle diverse condizioni all’interno dell’atmosfera marziana, e inoltre non sarebbe garantita la possibilità di tornare sulla Terra. Eppure tutti i suoi amici selezionati per la missione vogliono andare. Voi lo mandereste? Ovviamente no. La paradossale situazione, secondo lo psicologo Jonathan Haidt, autore del libro appena uscito negli Usa, The Anxious Generation (La generazione ansiosa) ricorda, per assurdo, quella di ogni genitore che si trova a consegnare uno smartphone collegato in rete al proprio figlio: un biglietto di sola andata per Marte.

In fondo anche nel caso dei social media si è trattato, una ventina d’anni fa, di un viaggio dalle molte incognite. Nessuno poteva dire con certezza quali sarebbero state le conseguenze di una precoce e intensa frequentazione del mondo digitale. E comunque tutti ci volevamo andare. Così, senza farci troppe domande, abbiamo lasciato che i nostri figli fossero coinvolti nel più gigantesco esperimento sociale della storia dell’umanità. Con risultati che oggi cominciamo a vedere. E non sono rassicuranti.

Nel suo libro Haidt, psicologo sociale, dimostra, dati alla mano, la responsabilità dei social media nell’aver causato quella che oggi è ormai considerata una vera e propria epidemia di disagio mentale tra gli adolescenti. La “generazione ansiosa” è la cosiddetta Gen Z, i nati dopo il 1995, che sono stati i primi a vivere gli anni della pubertà a stretto contatto con i social media, ovvero, nelle parole di Haidt, con “in tasca un portale che li richiamava di continuo in un universo alternativo” attraente e ipnotico, ma inadatto a bambini e adolescenti. Un’ansia che si combina a depressione nelle cifre contenute nel volume, che ci parlano di episodi di autolesionismo triplicati dal 2010 al 2020, nelle ragazzine statunitensi tra i 10 e i 14 anni e aumentati del 48% tra i ragazzi della stessa età. Quanto ai suicidi l’incremento è stato del 167%, tra le ragazze tra i 10 e i 14 anni del 91% tra i ragazzi della stessa età.

E qual è il cambiamento più rilevante avvenuto in questo lasso di tempo? Certamente il dilagare dell’uso dei social media, che nel 2010 era ancora piuttosto limitato, poi con l’acquisizione di Instagram da parte di Facebook nel 2012 e la diffusione sempre più capillare degli smartphone è diventato pervasivo, come confermano gli ultimi dati del Pew Research Center secondo cui il 46% dei teenagers è online quasi costantemente.

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Smartphone ai bambini? «È una condanna alla depressione»

Immaginate che un giorno qualcuno vi proponesse di lasciar partire vostro figlio di 10 anni per Marte, dove potrebbe essere tra i primi ad acclimatarsi alla vita sul pianeta, e quindi avere più possibilità di sopravvivere in caso di un trasferimento di tutta l’umanità sul pianeta rosso. Certo, non mancherebbero le incognite e i possibili effetti collaterali, anche gravi, delle diverse condizioni all’interno dell’atmosfera marziana, e inoltre non sarebbe garantita la possibilità di tornare sulla Terra. Eppure tutti i suoi amici selezionati per la missione vogliono andare. Voi lo mandereste? Ovviamente no. La paradossale situazione, secondo lo psicologo Jonathan Haidt, autore del libro appena uscito negli Usa, The Anxious Generation (La generazione ansiosa) ricorda, per assurdo, quella di ogni genitore che si trova a consegnare uno smartphone collegato in rete al proprio figlio: un biglietto di sola andata per Marte.

In fondo anche nel caso dei social media si è trattato, una ventina d’anni fa, di un viaggio dalle molte incognite. Nessuno poteva dire con certezza quali sarebbero state le conseguenze di una precoce e intensa frequentazione del mondo digitale. E comunque tutti ci volevamo andare. Così, senza farci troppe domande, abbiamo lasciato che i nostri figli fossero coinvolti nel più gigantesco esperimento sociale della storia dell’umanità. Con risultati che oggi cominciamo a vedere. E non sono rassicuranti.

Nel suo libro Haidt, psicologo sociale, dimostra, dati alla mano, la responsabilità dei social media nell’aver causato quella che oggi è ormai considerata una vera e propria epidemia di disagio mentale tra gli adolescenti. La “generazione ansiosa” è la cosiddetta Gen Z, i nati dopo il 1995, che sono stati i primi a vivere gli anni della pubertà a stretto contatto con i social media, ovvero, nelle parole di Haidt, con “in tasca un portale che li richiamava di continuo in un universo alternativo” attraente e ipnotico, ma inadatto a bambini e adolescenti. Un’ansia che si combina a depressione nelle cifre contenute nel volume, che ci parlano di episodi di autolesionismo triplicati dal 2010 al 2020, nelle ragazzine statunitensi tra i 10 e i 14 anni e aumentati del 48% tra i ragazzi della stessa età. Quanto ai suicidi l’incremento è stato del 167%, tra le ragazze tra i 10 e i 14 anni del 91% tra i ragazzi della stessa età.

E qual è il cambiamento più rilevante avvenuto in questo lasso di tempo? Certamente il dilagare dell’uso dei social media, che nel 2010 era ancora piuttosto limitato, poi con l’acquisizione di Instagram da parte di Facebook nel 2012 e la diffusione sempre più capillare degli smartphone è diventato pervasivo, come confermano gli ultimi dati del Pew Research Center secondo cui il 46% dei teenagers è online quasi costantemente.

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