Smartphone a scuola, sì o no? Sta suscitando un acceso dibattito in queste settimane la decisione della rettrice del Liceo Malpighi di Bologna, Elena Ugolini, di requisire i cellulari agli studenti e ai docenti durante la mattinata a scuola. Una scelta drastica che, come ha spiegato la stessa Ugolini, si è resa obbligata vista la crescente dipendenza dai dispositivi riscontrata nei ragazzi, sempre meno ‘presenti’ sia nelle ore di lezione che durante gli intervalli, trascorsi in gran parte a fissare lo schermo anziché interagire con i compagni. Ugolini ha spiegato che desiderava fare un regalo ai suoi studenti, offrendo loro ben sei ore di distacco dagli smartphone e quindi di vera libertà. Mentre da altri istituti un po’ in tutta Italia giungono notizie di provvedimenti analoghi, pare che i ragazzi abbiano incassato il colpo a sorpresa e tutto sommato preso bene la nuova situazione, anche se probabilmente non sono ancora del tutto convinti di aver ricevuto un regalo.
Ma è proprio necessario arrivare a decisioni così estreme? Non basterebbe puntare sulla formazione e la responsabilità di ogni ragazzo, maggiorenne o quasi? In realtà è stata proprio questa la linea nel nostro Paese, almeno negli ultimi anni, in particolare dopo la pubblicazione del Decalogo per l’uso dei dispositivi mobili a scuola voluto dalla ministra dell’istruzione Valeria Fedeli nel 2018 che integrava la direttiva del 2007 firmata dall’allora ministro Giuseppe Fioroni, in cui si proibiva l’uso dello smartphone durante le lezioni. L’invito per i ragazzi era a portare il proprio cellulare (secondo la formula «Byod», Bring your own device, porta il tuo dispositivo), ma soltanto per svolgere attività previste dall’insegnante nella convinzione che la scuola non potesse rimanere esclusa dal mondo digitale nel quale gli studenti trascorrevano una parte crescente del proprio tempo. E che fosse compito della stessa scuola formare a un approccio «consapevole al digitale nonché alla capacità d’uso critico delle fonti», come si legge nel documento. Un obiettivo condivisibile, certo. Quattro anni dopo, e con di mezzo una pandemia che ha reso ancora più pervasivo – e in alcuni casi indispensabile – l’uso della tecnologia nella didattica, dobbiamo riconoscere che la semplice presenza dei dispositivi a scuola, pur affiancata da iniziative di formazione spesso molto serie, non ha sempre dato i risultati sperati. Due gli ordini di problemi che hanno indotto alcuni presidi, già prima dell’emergenza Covid, a intervenire per disciplinare l’uso degli smartphone in classe. Il primo è la distrazione durante l’orario scolastico: l’uso che si fa del cellulare a scuola è perlopiù di tipo ludico, un intrattenimento durante lezioni noiose. Il secondo riguarda le difficoltà relazionali, evidenti nei momenti di ricreazione, che sfociano spesso in forme di bullismo, o semplicemente in una sostanziale indifferenza reciproca.
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